Istantanee
Traduzione: Guido Neri
Postfazione: Donata Meneghelli
Sfogliando le pagine di questo volume si ha la sensazione di trovarsi di fronte, più che a una raccolta di racconti, a una sorta di album di fotografie o, più precisamente, a un vero e proprio montaggio di fotogrammi giustapposti. L’azione è cristallizzata, bloccata in una sequenza di fermo-immagini che restituiscono allo sguardo del lettore, come ravvisa lo stesso Robbe-Grillet, «l’impressione della quiete, di una sosta precaria nel moto quale ci è consentito di ammirare nelle istantanee: un sasso che sta per infrangere la tranquillità di uno stagno, ma che la fotografia ha fissato nella sua caduta a pochi centimetri dalla superficie». Il tempo – e allo stesso modo il movimento – è come sospeso, tutto rappreso in una immagine (una «immagine-tempo», per dirla con Deleuze) che sembra valere per se stessa, senza apparentemente rimandare ad alcun contesto supposto preesistente, quasi chiedesse di essere semplicemente guardata. La penna-bisturi di Robbe-Grillet infatti, come ricorda Barhtes, «recide spietatamente il visivo da ogni raccordo», lo isola e lo stacca come una parte prelevata da un tutto più ampio, costringendoci a dirigere su di esso tutta la nostra attenzione. Scritti tra il 1954 e il 1962, questi testi rappresentano, come scrive Meneghelli, «un distillato – un kit, un digest, una piccola enciclopedia tascabile – di procedimenti, temi, temi-procedimenti che caratterizzano la scrittura di Robbe-Grillet». Parafrasando Barthes si potrebbe forse parlare di un Robbe-Grillet al suo grado zero, o all’opposto – come preferisce fare Meneghelli – di un Robbe-Grillet al quadrato, un iper Robbe-Grillet.
Le cose sono là: «Istantanee», Robbe-Grillet e il Nouveau Roman