I primi giorni
Vivrò l’amore degli altri, II
Traduzione e prefazione: Valeria Pompejano
«Non è più come prima», si ripete spesso il protagonista, Armand. Ci eravamo congedati, nel precedente Lasciatelo parlare, da un uomo senza nome giunto, al termine del suo racconto-monologo, alle soglie della speranza, l’ingresso nella comunità degli altri uomini. Ne I primi giorni ritroviamo un individuo uscito oramai dalle secche dell’anonimato – è Armand, appunto –, alle prese con il proprio apprendistato alla socialità. Non ci sono più gli oggetti-rifugio, quelli cui attaccarsi e cui dedicare la stessa attenzione riservata agli esseri umani (ora «nessun oggetto gli viene in soccorso come un tempo»). Adesso è il corpo a imporsi, ancora impacciato e incerto (ora «tutto inciampa sul suo corpo»), un corpo che si apre al rischio di un incontro, di una relazione, un corpo (e un volto) che si offre come «una ferita esposta, viva». Quello che si profila in questo secondo capitolo della trilogia Vivrò l’amore degli altri è, come scrive Valeria Pompejano nella prefazione, «il lento processo di accostamento alla trama sentimentale dell’esistenza, conquistata per gradi, dapprima attraverso lo spettacolo dell’amore degli altri, fino ad approdare alla presa di coscienza della propria personale capacità emotiva». Una sorta di imitatio amoris. Sarà infatti solo attraverso l’amore di una coppia – Albert e Lucette (gli altri) –, un amore vissuto per procura, in modo parassitario, e nel quale si insinuerà a poco a poco il sentimento della gelosia, che Armand muoverà i primi passi verso un’educazione sentimentale, un apprendistato ad amare che, per Cayrol, «altro non è che vivere». Ecco allora che quelle «lacrime trionfali», che alla fine sgorgheranno copiose sul volto di Armand, saranno il segno – il primo vagito – di una rinascita. I primi giorni di una nuova vita.