Il voyeur
Con un saggio di Roland Barthes
Traduzione: Stefania Ricciardi
Prefazione: Donata Meneghelli
Il voyeur è un romanzo in cui «le cose sono là», come dice lo stesso Robbe-Grillet. Niente da cercare o intuire dietro le apparenze, nessuna profondità da indagare. Un romanzo di superficie, in cui le pagine sembrano semplicemente registrare quanto il nervo ottico percepisce degli oggetti, investiti, sostiene Roland Barthes, di «un privilegio narrativo finora accordato ai soli rapporti umani». Il voyeur, infatti, non è un personaggio, ma quel particolare viaggiatore, quel voyageur che è lo sguardo, davanti a cui tutto è, semplicemente, esposto. Meglio, sovraesposto. Come in una fotografia in cui c’è troppa luce, nel romanzo, scrive Donata Meneghelli in prefazione, «il chiarore dissolve ogni cosa, prima fra tutte l’intrigo, l’evento». Come se il ritorno di un commesso viaggiatore sull’isola che l’ha visto bambino, fosse molto meno di un pretesto. Per Barthes, infatti, «ne Il voyeur non c’è più nessuna qualificazione della storia: essa tende allo zero, se ne può appena parlare, ancor meno riassumerla». Lo stesso evento – l’omicidio, vero o presunto che sia – al centro del romanzo, «è narrativamente messo in bianco», stinge, fino a diventare un punto vuoto. Poco importa infatti che del delitto di quella tredicenne, il cui corpo è stato ritrovato, nudo e martoriato, in mare, si dia una descrizione per sottrazione, al negativo, facendoci dubitare che esso sia realmente accaduto, che sia realmente stato commesso. Tutto il romanzo, scrive ancora Meneghelli, «galleggia – come quel corpo – in uno stato di indecisione, perennemente sospeso tra realtà e immaginazione, tra fatto e possibilità, tra passato e presente».
Ostico Robbe-Grillet che scrisse un giallo senza intrigo né polizia