Piccolo elogio della non appartenenza
Una storia istriana
Postfazione: Paolo Cammarosano
Questo libro è il racconto di una storia istriana. La prospettiva individuale di un cucciolo dell’esodo. Di chi si è visto consegnare dalla storia – quella che qualcuno scriverebbe con la “s” maiuscola – il «peso quasi ingombrante» di una memoria e di un’appartenenza che affidavano al rimpianto e al rancore il lessico della loro sopravvivenza. Le pagine di questo piccolo memoir tracciano, come scrive Paolo Cammarosano nella postfazione, «il percorso per una liberazione dell’individuo che sfugga a tentazioni identitarie e ad appartenenze che risalgano ad esperienze altrui e non alle proprie». Un percorso di emancipazione, un processo di sottrazioni successive che comporta un peso diverso – non meno gravoso – fatto di spezzature, abbandoni e divorzi. Dal disvelamento del carattere puramente accidentale di ogni identità, alla presa d’atto che «le appartenenze di gruppo, di etnia, di nazionalità, soggiacciono ad uno statuto ontologico minore». Fino a giungere ad un resto non più ulteriormente decostruibile. Un’appartenenza minima, non solo necessaria ma anche doverosa: «la sola appartenenza plausibile, fugace come la durata dei corpi». L’identità di struttura che Zacchigna ritrova nei tratti e nelle fattezze del cadavere della madre. È intorno al lutto per un corpo morto, più che per una terra perduta, che il senso di appartenenza trova la sua dimensione propria. Questo snodo ci restituisce in poche righe l’inclinazione dello sguardo – «tutto individuale», come ricorda Cammarosano – che percorre l’intero libro e la conseguente labilità di ogni discorso si possa fare su identità e appartenenza. Perché durano lo spazio di un’esistenza. Questa nuova, e forse inattesa, consapevolezza rappresenta la cifra etica e politica di questo piccolo elogio: la scelta di decidere per la memoria e per la storia, semplicemente, «un approdo diverso».